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Riflessioni sul femminile sacro

Il sacro è una dimensione personale che al contempo trova in ognuno di noi una appartenenza universale. Il sacro cioè è la possibilità di essere autenticamente noi stessi scegliendo una posizione interiore che sia in sintonia con il nostro sentire più profondo e la possibilità di portare questo sentire nella vita di tutti i giorni. In questo il sacro è dimensione inclusiva, condivisa basata su una esclusività primaria: il proprio rapporto personale, intimo, unico con il sé transpersonale, o col “cuore pulsante della vita”.

Per la donna questo rapporto è profondo, intimo, innestato in un nucleo centrale di sentimenti che pulsa e riconosce come viva e reale la passione per la vita. La donna cioè dal mio punto di vista ha in sé la capacità di sentire la vita attraverso il proprio cuore e di capirla attraverso i sensi, i sentimenti, le relazioni. Per questo probabilmente la dimensione prima per la donna è il proprio corpo emotivo, e se cercassimo un luogo fisico, un luogo di rifugio e riflessione, questa è la casa.

La casa come luogo di possibilità della connessione con se stessi; la casa come luogo di relazione, di scambio, come “fornace di vita”. Hestia, per i greci, era proprio questo – ed era una divinità talmente archetipica da non venir quasi mai raffigurata. Compariva invece spesso l’elemento fuoco, che era il massimo della rappresentabilità possibile, di questa dimensione sacra, spirituale, contenuta e intima sia nella persona che nella sua abitazione.

Graal Dante Gabriele Rossetti
Credere che Hestia fosse custode della propria casa faceva della casa stessa un tempio. Come tale era luogo di riti, di preghiere, e di tutte quelle vicende umane che tracciano la nostra storia personale e la rendono umana. Tratto tipicamente femminile è infatti, a mio avviso, questa percezione delle età della vita come un continuum durante il quale parti di noi trovano espressione, trovano il loro momento e il loro spazio per esprimersi – tutto questo non tanto con la mente o l’intelletto quanto con le emozioni e con il corpo.

Come formatore mi è capitato di insegnare aromaterapia sia a ragazzi di vent’anni che stanno cercando di crearsi un lavoro, sia a volontari di un hospice nel quale si cura il termine vita. In altri momenti ho parlato con donne in attesa di un figlio; o con donne in attesa di sposarsi. O con donne – e uomini – separati. O con donne – e uomini – profondamente offesi, nello spirito e nel corpo. Ecco, credo che questo teatro umano, e la capacità di comprenderlo profondamente, nel cuore e nel corpo, sia femminile.

Ho l’impressione che il sacro femminile sia la capacità di sostenere la vita nella sua profonda umanità, attraversando l’arcobaleno di epoche personali, di eventi, di “età”. Ogni età ha un suo pregio grande, e allo stesso tempo ogni età vive una rimozione di alcune fragilità che viviamo. Oggi uno dei compiti del femminile secondo me è proprio restituirci quelle fragilità e trovare la formula che ci permetta di inserirle nel nostro “pacchetto vita”, restituendo loro la dignità che hanno, e che ci può permettere finalmente di risentirci umani.

La rimozione della fragilità spinge ad una chiusura forzata, ad una performance così tanto approvata dalla nostra cultura, che in realtà reitera una sostanziale rinuncia alla profondità della vita, probabilmente percepita come inavvicinabile. Come sempre, rimuovere una parte significa rinunciare anche al suo dono, e rimuovere la fragilità chiede la rinuncia di sfumature, misteri, intimità e riflessi che oggi appunto cogliamo forse solo in pochi istanti di grazia.

Ecate, o della necessità di ritrovare il proprio spazio sacro

La figura di Ecate nella mitologia greca è una figura complessa, perchè arcaica e “trivia”. Ecate è legata per parentela stretta ad Artemide e Apollo ed è una dea lunare, portatrice di fiaccola e associata al cane e al lupo.

Spesso veniva collocata un’immagine di Ecate alle porte e davanti ai trivii, alle strade che si diramavano in più direzioni. Simbolicamente, potremmo così pensare che vi fosse una sacralità in ogni via, in ogni strada da prendere, e che davanti ad una scelta, servisse una “benedizione”.

Il suo aspetto legato al numero tre è qualcosa di ancestrale e difficilmente comprensibile con la nostra mente attuale; il tre è numero che compare in ogni tradizione conosciuta, ed è sempre sacrale, sempre divino (“la trinità”). Ecco che Ecate allora, divinità dei tre mondi (divinità ctonia, celeste, e marina) ci porta verso un femminile totale e antico (in termini archetipali – quindi un femminile che è sia della donna che dell’uomo). Associata come dicevamo alla Luna, Ecate spesso ha rapporti amorosi con esseri marini. La Luna non influenza le maree? Gli antichi forse spiegavano così le loro intuizioni sulla natura.

mitologia di Ecate

 

[image: Richard Cosway – http://www.britishmuseum.org]

Leggendo questa divinità come un nostro aspetto psichico, ecco che la nostra parte lunare influenza le nostre emozioni; ed essa è così profonda che può percepire un senso di unità al di là delle strade prese (le tre vie). Cosa curiosa, Iris, divinità messaggera, aveva il culto nell’isola di Ecate, vicino a Delo; Iris era un “angelo”, cioè una messaggera, e non è difficile pensare al fatto che la nostra parte lunare, psichica, sia per noi una messaggera (vedi ad esempio la dimensione dei sogni).

L’aspetto trivio di Ecate non era solo la possibilità di percepire un’unità al di là delle diverse strade intraprese; era anche l’espressione di una totalità, del fatto che questa dimensione psichica, interiore, potesse comprendere in sè la vita di tutte le dimensioni, quella quotidiana, quella profonda, e quella celeste. Ecate forse è una delle rappresentazioni più piene di un femminile psichico che può comprendere in sè la totalità della vita. Essa vive in una grotta e porta una fiaccola: in questo, ampliando il simbolo, potremmo vedere l’immagine di una sacerdotessa, che sceglie un ritiro per prendersi cura di questo fuoco interiore che è anche fuoco che illumina. Sarà lei infatti ad aiutare Demetra, disperata e “senza direzione”, a ritrovare la propria figlia Persefone, dandole le prime notizie per ritrovare la figlia scomparsa; e a lei erano devote le Sibille, donne oracolari che davano responsi e che si ispiravano tramite la sua figura e quella di Apollo.

Detto questo, Ecate non vive in un ritiro costante, anzi; però la sua dimora (la grotta) sembra dirci che abbiamo bisogno di “ritirarci” per entrare in contatto con noi stessi, nel nostro profondo, laddove possiamo percepire un profondo senso di unità e trovare allo stesso tempo la nostra strada individuale.

Ricordiamo a questo proposito, che oli essenziali quali il Bergamotto e il Cipresso possono aiutare questa interiorizzazione; nel primo troviamo un aspetto composto e gioioso, un voler stare da soli con un sorriso; mentre nel secondo troveremo una dimensione fortemente introversa, una profondità che in alcuni momenti può essere utile se tutto quello che ci gira intorno è troppo per noi in questo momento.

Ecate era una figura mitologica ampia e capace di agire “in tutti i mondi”, terra, cielo, mare. Ecco che la sua dimensione fortemente interiorizzante in realtà ci dice che contattando profondamente noi stessi, siamo liberi di muoverci nel mondo.